| Milan, 12 April 2000 I guidici contro Irving "Ha negato l'Olocausto" FRANCO CARDINI Caro direttore, Il professor David Irving, noto e discusso contemporaneista inglese, e' senza dubbio un personaggio inquietante. Non e' qui in causa la sua serieta' scientifica: si tratta di un ottimo ricercatore, di un brillante scrittore, di uno studioso spregiudicato. Forse, fin troppo spregiudicato: se e' possibile esserlo nel mondo degli studi. In realta', tale mondo dovrebbe essere completamente libero da pregiudizi di sorta. Ma la realta' e' un'altra.
David Irving ha poi continuato la sua brillante ma contrastata carriera redigendo vari studi dedicati principalmente al nazionalsocialismo e alla biografia di alcuni suoi principali leaders. Non c'e' dubbio che dalle pagine, sempre documentate e spesso originali, dello storico risulti una certa simpatia per l'oggetto privilegiato dei suoi studi, il nazismo. Ma, si sa, gli studiosi si innamorano un po' sempre dei loro oggetti di studio. Il fatto e' che il professor Irving e' una specie di dottor Jekyll, assolutamente serio e scrupoloso nel suo lavoro ma che pare talvolta si muti in un enigmatico signor Hyde, vestito di giacconi di pelle, che se ne va in giro per le strade di Londra magari in poco raccomandabile compagnia di ragazzacci neonazisti. In fondo, finche' il signor Irving continuera' a scrivere discutibili ma tutto sommato serie e documentate opere di storia non si rendera' responsabile di crimini: la sua vita privata e' affar suo. Pero' e' strano. Non so dire se davvero Irving si puo' ritenere un negazionista, cioe' uno di qucgli studiosi o sedicenti tali che negano l'Olocausto e tendono in genere a ridurre le responsabilita' criminali naziste. Per quel che ho letto, posso ritenere che Irving vada collocato in quell'ambito degli studiosi cosidetti revisionisti, tenendo pero' conto che anche tale categoria e', scientificamente parlando, abbastanza bislacca. E' fresca d'agenzia la notizia che l'Alta Corte di Londra ha dato torto a Irving, il quale aveva querelato una sua collega statunitense, la signora Deborah Lipstadt, che gli aveva dato senza cerimonie del neonazista. A questo proposito e' forse necessario fare un paio di considerazioni. Una prima, in favore della sentenza. E' molto pericolosa la tendenza, che si registra anche nel mondo degli studi, di ricorrere agli strumenti giuridici della diffida o della querela come complemento alla discussione. Mi chiedo dove andremmo a fmire, nella necessaria libera dialettica degli studi, se al gia' rovinoso politically correct si aggiungesse un demenziale juridically correct se cioe', voglio dire, gli studiosi prendessero l'abitudine di difendere le loro ricerche e le loro tesi non gia' presentando sempre piu' convincenti argomenti a sostegno di esse, ma ricorrendo in tribunale contro i colleghi di differente avviso. Una seconda, contro la sentenza e un pochino anche contro la Signora Lipstadt. In effetti. quel che si dovrebbe fare quando si parla di storia, e specialmente di quegli argomenti storici che ci toccano da vicino e che bruciano ancora - e il nazismo e' forse il primo di essi - si dovrebbe resistere alla tentazione dl ricorrere alle etichette definitorie e talvolta diffamatorie e limitarsi alla lettura dei documenti e ai fatti che da essi emergono. Non credo che la tesi dell'interlocutrice americana dello storico inglese avrebbe sofferto se, anziche' ricorrere a definizioni che sembrano denunzie - e che anzi, a dir la verita', hanno il sapore dell'intimidazione e del ricatto intellettuale - si fosse attenuta alla discussione dell'oggetto storico di comune interesse.
C'e' solo un modo per spuntare le armi degli studiosi
revisionisti. Scrivere libri migliori dei loro, dimostrare
con maggiore ragione di loro il proprio assunto. Altrimenti
di Irving, etichettato terroristicamente dai colleghi e
penalizzato dalle corti di giustizia britanniche, si rischia
di fare a torto o a ragione una vittima: e c'e' sempre
qualcuno disposto a simpatizzare con le vittime. Gli
studiosi come Irving vanno ascoltati, scientificamente
controllati, intellettualmente contestati. Se e quando hanno
torto. E non e' detto che ce l'abbiano sempre e del tutto.
Il resto e' una perversa abitudine ideologico-intellettuale
alla repressione inquisitoriale che deve essere a sua volta
condannata e repressa. In futuro, la signora Lipstadt -
vittoriosa in tribunale - si limiti ad esporre fatti e a
organizzare tesi storiche piu' convincenti di quelle del suo
avversario. Tutto cio' sara' sufficiente: e sara' meglio
anche per la sua rispettabilita' scientifica, che forse e'
alta, ma alla quale la sentenza britannica nulla di positivo
aggiunge. |
April 12, 2000 | |
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